Spirito naturale
di Stefano Fusi
L’ecologia “profonda” è il filone dell’ecologia per il quale non bastano soluzioni tecniche e politiche per risolvere la crisi ambientale, ma occorre che l’umanità guardi alla vita in un modo radicalmente nuovo. Passando dal considerarsi, quali esseri umani, non un elemento “esterno” alla natura, ma parte stessa della natura. Per l’ecologia profonda, possiamo vivere bene se siamo in armonia con la natura. Quella “esterna”: elementi, pietre, piante, animali, ecosistemi; e quella “interna”: la nostra natura fisica ed emozionale – corpo, sentimenti, emozioni, le nostre qualità intrinseche di esseri viventi.
Ritrovare l’armonia con la natura è un’arte. È una capacità insita in ciascuno di noi. Noi siamo natura. Ritrovare la semplicità della natura è un “lavoro” all’incontrario: togliere, eliminare il superfluo, badare all’essenziale, accettare quello che c’è e trasformarlo in coscienza. È un grande lavoro di ricerca spirituale.
Da fare nello stupore e nella gratitudine verso il Grande Mistero, il nome con cui i nativi americani Lakota chiamano lo Spirito.
Le pratiche di ecologia profonda sono esperienze di conoscenza, e strumenti per aiutarci a sentire che siamo parti coscienti della natura vivente. Partono dal contatto con il proprio corpo, dalla respirazione, dal movimento; passano per la riconnessione cosciente con la natura attraverso esercizi di immedesimazione, sintonizzazione e meditazione svolti nell’ambiente naturale; fino ad arrivare a forme di arte, rituale e cerimonia in cui tutte queste esperienze sono fuse in modo organico.
Sono pratiche adatte ai nostri tempi, alla nostra mentalità moderna e alle nostre necessità attuali di sentirci nuovamente parte del mondo vivente alla luce delle conoscenze scientifiche e della coscienza ecologica; ma affondano le loro radici nate nelle tradizioni più antiche, fra cui il taoismo, lo sciamanesimo, il Tantra.
MEDITARE ED ENTRARE IN RELAZIONE CON
Ecco
PERDERSI PER RITROVARSI
Non seguire un percorso prefissato. È un pellegrinaggio naturale che porta a sentire l’energia del luogo, a seguire l’ispirazione del momento. Occorre svuotare la mente e lasciarsi guidare dal corpo e dalle sensazioni. Uscire dai sentieri, se è il caso. Perdersi. Lasciarsi guidare dalla bellezza, dalle rocce, dalle piante, dagli animali: seguire le tracce o l’animale stesso. Poi, ritrovare la strada del ritorno. È un esercizio simile al tantrico Latihan, che consiste nel non fare nulla e lasciar affiorare un moviemto spontaneo e seguirlo. Così in natura. Non si deve arrivare da nessuna parte in parte se non nel centro di noi stessi. E scoprire che una cascata, un albero, una pietra hanno qualcosa da comunicarci. Si può sentire di dover stare seduti e assumere l’immobilità di una rupe, o correre come un torrente sul greto, o stare ritti a respirare e prendere luce come un albero. Il tempo, naturalmente, non (si) conta più.
CHIEDERE PERMESSO
La natura è la nostra vera casa. Quando la si ritrova, e ci si accinge a entrarvi, occorre chiedere permesso. Come si fa quando si entra in casa d'altri. Poi, entrarci in punta di piedi. Lasciare pulito. Salutare, quando si torna alla nostra vita solita. Chiedendo permesso ci si sintonizza come un diapason al suono, col campo d'energia della Terra. In alcuni casi, ci si sente rispondere che no, non è permesso. Allora è meglio comprendere il messaggio, lasciar stare, tornare un'altra volta. Significa che la natura in quel momento ha altro da fare che accoglierci, in quel luogo particolare, in quel momento particolare. Non è la natura ad aver bisogno di noi, è vero il contrario. Ed essa sa dirci quando non è il caso di entrarvi in profondità.
DIVENTARE ALBERI, INCONTRARE L’ALBERO
Uno degli esercizi di base del Qi Gong, l’antica arte cinese dell’energia interiore, origine di tutte le arti marziali ‘dolci’, è quello dell’albero. Semplicemente, stare ritti, gambe leggermente flesse, piedi paralleli perpendicolarmente alle spalle, braccia rilassate ai fianchi, e respirare. Nel Qi Gong originario, al principiante è richiesto di farlo per un anno almeno prima di passare all’esercizio seguente. Farlo in un bosco è sorprendente. Il ‘massaggio arboreo’ è una potentissima pratica di ricarica: ci si appoggia all’albero – meglio se grande e antico – con la schiena. E si resta a goderne l’energia. Che ci pulisce e comunica. È meglio del classico e pur valido ‘abbracciare l’albero’ cui spingono seminari intensivi: siamo noi ad aver bisogno dell’albero, e avendolo davanti ci si distrae; la schiena, la colonna vertebrale (il nostro albero interiore), sono le nostre vere zone naturali, cui non pensiamo mai salvo quando ci fanno male.
CAMMINARE CON COSCIENZA
La camminata dell’attenzione degli Indios serve a distogliere dai pensieri e dal dialogo interno continuo che ci impediscono di fonderci con l’ambiente e coglierne i messaggi. Avviene in silenzio; concentrandosi sul passo stesso; lasciar scorrere i pensieri; seguire un ritmo armonizzato con la respirazione, senza forzature; ascoltare i rumori; lasciar libere le mani usando lo zaino se occorre portare qualcosa; ascoltare soprattutto le sensazioni del corpo.
La ‘camminata del potere’ insegnata da Don Juan a Castaneda è solo una forma del camminare primordiale: gambe leggermente flesse e ginocchia sciolte, non rigide, un po’ come le scimmie; occhi semiaperti, quanto basta per avere uno sguardo non focalizzato ma vigile, ‘periferico’; andatura che a poco a poco diventa inconscia, una semitrance.
Va da sé che camminare in questo modo porta a diventare tutt’uno con la camminata stessa, e le sensazioni propriocettive del corpo hanno la prevalenza su considerazioni razionali e sull’attenzione rivolta all’esterno. Che va comunque mantenuta, ma senza che prevalga sull’altra.
Come avviene anche nella ‘camminata meditativa’ dei monaci Zen, che assume un ritmo uniforme che favorisce la meditazione.
PURIFICARSI CON GLI ELEMENTI NATURALI
Qui la fantasia non ha limiti. Tutto nella natura purifica. Da malattie fisiche ma anche da disagi esistenziali. Occorre solo lasciar andare le difese razionali. Tornare bambini. Fare il bagno nella cascata (una delle pratiche più potenti, tradizionale in Giappone, che purifica e fortifica fino al limite della sopportazione). Prendere nudi l’acqua del temporale. Asciugarsi al fuoco. Usare un sasso per toglierci di dosso le tensioni (gli sciamani sudamericani usano questa tecnica nelle cerimonie della ‘Limpia’, la purificazione appunto): le pietre hanno un’energia che assorbe e lava tutto. È una pratica efficacissima anche da effettuare sugli altri: è un massaggio non invasivo, dolce e profondissimo. L’ultima variante è il massaggio effettuato con pietre leggermente riscaldate. Due suggestive forme di meditazione in natura sono proposte dal ricercatore e poeta della natura italiano Italo Bertolasi, che ha vissuto a lungo con gli sciamani e pellegrini della natura giapponesi e nepalesi: il ‘bagno di foresta’ e il ‘bagno di vento’. Ovvero, immergervisi come fosse acqua. Lasciandosene penetrare mentre si svuota la mente e si entra in sintonia con la loro essenza.
‘LEGGERE’
Molte pratiche di osservazione e meditazione sono proposte dall’antroposofia di Rudolf Steiner, come le meditazioni sullo sviluppo delle piante e sui ritmi stagionali. Meditare sulle forme viventi e sulla loro evoluzione è un aiuto allo sviluppo psicofisico. Ognuno può trovare la sua via e il suo modo per entrare in contatto con gli ‘spiriti della natura’, che non sono necessariamente folletti disneyani, ma i meccanismi eterici con cui essa si manifesta, cresce e fiorisce. Anche qui, è più complicato dirlo che farlo. Occorre provare, semplicemente. Una via di ricerca interessante che unisce la preghiera cristiana alla celebrazione delle bellezze del creato, è quella proposta dal frate cappuccino Padre Andrea SchnÖller e da Luisa Marnati, psicologa e psicoterapeuta, nel loro libro Meditazioni nella natura, ed. Xenia: propongono quattro simboli principali su cui meditare. L’uccello dalle grandi ali, il cipresso odoroso, l’albero dalle grandi radici, il canto delle acque. Simboli rispettivamente dello Spirito, della freccia verso l’alto, della Terra, dell’acqua, e delle rispettive qualità spirituali. È una meditazione da fare non in natura ma anche a casa, perché la natura è comunque dentro di noi ed è fonte di ispirazione inesauribile.
MARE: L’OCEANO DELLA CONSAPEVOLEZZA
Va bene anche nuotare o ‘fare il morto’, d’estate al mare. Ma con più attenzione e coscienza, possiamo provare a galleggiare appieno, lasciandoci andare completamente: torniamo nel paradiso terrestre dell’utero cui tutti cerchiamo di tornare inconsciamente. Di recente, ricercatori spirituali hanno adattato all’acqua antiche pratiche come lo Yoga, lo Shiatsu, il Tai Chi e sono nati Woga – Water Yoga; Wai Chi (Water Tai Chi), Watsu (Water Shiatsu). In acqua, la loro efficacia aumenta per via dell’attenuarsi della gravità, i movimenti si fanno più fluidi, l’effetto del massaggio più forte, la coscienza s’allenta e ritroviamo la nostra armonia più facilmente.
PICCOLI RITUALI DI SINTONIZZAZIONE
Camminare a piedi nudi nella rugiada; creare ‘altari’ in natura con i sassi (come gli ‘ometti’ dei sentieri, costruiti negli anni dagli alpinisti); celebrare le Quattro direzioni e i Quattro elementi (in vari modi: si porta l’attenzione alle strutture fondamentali dello spazio e della natura); costruirsi un proprio ritratto con elementi naturali e poi bruciarlo per abituarci alla disidentificazione dall’ego: è come farsi un mandala personale; creare piccoli oggetti d’arte ‘temporanei’ con elementi naturali (semi, rami, foglie, sassi, conchiglie); mettere nastrini colorati attorno a pietre, erbe, alberi per riceverne l’energia.
TORNANDO IN CITTÀ, PER MANTENERE IL CONTATTO CON
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SOLE E PIETRA
Una fonte di calore salutare, fortissima e concentrata: la pietra restata al sole tutto il giorno, nel tardo pomeriggio. Sui torrenti, vicino alle cascate, ma anche al mare (meglio se c’è vicino l’acqua, per potersi poi rinfrescare). Ci si può stendere sulle pietre, appoggiarsi piccole pietre calde di sole sul corpo, sui punti che si ‘sentono’ da distendere o sanare. O dovunque vi porti la vostra sensitività. La pietra è un accumulatore d’energia, rimanda e amplifica il potere luminoso del sole. Lo fa da sempre, ha immagazzinato una memoria immensa. Ci si può affidare alla pietra per esperienze oltre il tempo, per trasformarsi in un’antenna d’energia luminosa che da noi si ‘scarica’ nel mondo. Ci guarisce e guarisce gli altri cui la passiamo. Ci informa su quanto è avvenuto negli ultimi millenni e milioni di anni, da un database infinito. Ci carica del potere della permanenza e dell’essenzialità. Levigata dall’acqua e modellata dal vento, imbevuta di fuoco dal sole, appoggiata sulla Terra, matrice del legno, è un compendio dei quattro elementi, una chiave d’accesso al Tutto.
RICARICA DI LUCE
A occhi quasi chiusi, palpebre abbassate fino a lasciare solo uno spiraglio, ci si ricarica di luce. Guardando il Sole, direttamente. Compaiono fantasmagorie luminose e colorate, forme e vibrazioni; la luce ci penetra e irrora tutte le cellule del corpo e tutta l’anima. Va fatto per un tempo breve, ‘sentendo’ di essere un ricettacolo della forza vitale dell’universo. Un effetto simile lo ha il guardare la luce del Sole attraverso le foglie degli alberi.